Arte Relazionale per Bourriaud | Artisti e fruitori sono semionauti

Arte Relazionale per Bourriaud | Artisti e fruitori sono semionauti

Arte Relazionale per Bourriaud | Artisti e fruitori sono semionauti

Arte Relazionale per Bourriaud | Artisti e fruitori sono semionauti 1200 800 Damiano Fina

La nascita e lo sviluppo di Internet a partire dagli anni Ottanta rende accessibile su scala globale una mole di informazioni. Rispetto a una grande quantità di materiali esistenti, Nicolas Bourriaud[1] sottolinea come molti artisti, piuttosto che creare forme ex novo, reinterpretino le forme già esistenti, contribuendo a sradicare i concetti di originalità e creazione, in favore del remixing e della manipolazione delle forme esistenti in nuovi impieghi.

L’artista semionauta dell’arte relazionale

La figura del deejay, che utilizza la vastità di stock di suoni disponibili per comporre nuova musica, è una metafora perfetta per descrivere l’attitudine di questi semionauti, che attingono al vasto patrimonio culturale mondiale per proporne nuovi usi. Più che costruire qualcosa di nuovo, il semionauta si appropria dei codici culturali che conosce, proiettando sul mondo la propria visione, attraverso le proprie associazioni. L’opera che ne consegue non è più intesa come un output produttivo, quanto piuttosto un generatore di altre attività, poiché la sua consumazione diventa immediatamente fonte di nuove associazioni e relazioni da parte dell’audience.

Questa non è sicuramente una novità, considerando per esempio gli studi sulla lettura, che evidenziano come le opere letterarie siano co-create dall’immaginazione dei lettori… Allo stesso modo, un vestito è tale quando viene indossato e il cibo è nutrimento quando costituisce il nostro corpo.

Quando abitiamo la cultura, ne selezioniamo, utilizziamo e modifichiamo i contenuti secondo le notre necessità.

L’arte è un incontro, un’esperienza

Bourriaud è autore della celebre concezione relazionale dell’arte degli anni Novanta, ovvero di un’arte che si è interessata alla dimensione temporale dell’esperienza artistica e alle relazioni umane. Quest’arte crea interstizi sociali, ovvero spazi di relazione che suggeriscono possibilità di scambio attraverso l’incontro. Sarebbe proprio in queste occasioni d’incontro e di transazione che si svilupperebbero le forme, in modo simile a come nella lettura si genera il testo (ovvero la transazione tra l’immaginario dello scrittore e la ricostruzione dell’immaginario del lettore).

A partire dagli anni Novanta, le opere d’arte sembrano sempre di più momenti di una catena infinita e complessa di relazioni, spingendo gli utenti alla generazione di comportamenti spesso partecipativi. Le installazioni (di oggetti vari, d’immagini, di luci, di suoni ecc.), i workshop e le performance non solamente sono sempre più frequenti, ma divengono anche richieste prima di tutto dai nuovi musei e istituti d’arte, che si concentrano sui servizi ai visitatori (educativi, ludici, riposanti ecc.), ma anche dal pubblico, che si aspetta intrattenimento e un contatto diretto con l’opera e l’artista.

La contro-narrazione dell’arte al consumismo

Il mercato è il luogo globale degli affari e dello scambio di merci e servizi, che coordina le attività lavorative così come le attività del tempo libero -arte compresa-; la società del primo decennio del XXI secolo percepisce la propria quotidianità come un costante rapporto tra produzione e consumo di cui l’interesse industriale s’interessa, costruendo narrazioni che vi proiettano stili di vita e visioni del mondo a cui aderire più o meno consapevolmente. Di fronte a questa percezione, l’arte tende a costruire contro-narrazioni, restituendoci un mondo con più possibilità di quelle fornite dal mercato, soluzioni alternative e maggiore diversità.

Negli anni Cinquanta, l’Internazionale Situazionista aveva promosso il riutilizzo delle opere esistenti con lo scopo di ritornare all’esperienza vissuta, contro l’alienazione della vita quotidiana. Allo stesso modo gli happening di Kaprow rispondevano all’alienazione del quotidiano attraverso la creazione di accadimenti senza senso, in ambienti affollati da oggetti alla rinfusa e comportamenti smaccatamente alienati. La Performance Art reagisce con violenza contro le convenzioni della società, riscopre i riti ancestrali, scende nelle strade e nelle piazze, si serve dello scandalo per scioccare e provocare occasioni per ripensare il mondo così come lo viviamo.

L’esperienza artistica come luogo di produzione

Nella mostra d’arte del XXI secolo, il curatore così come il fruitore propongono un percorso personale all’interno del vasto panorama artistico globale, “non è più il risultato finale di un processo, ma un luogo di produzione”[2]. Gli elementi selezionati dal mondo vengono messi in relazione dagli artisti e posti in reazione con gli utenti dell’arte; allo stesso modo il deejay seleziona una playlist e coordina la propria attività di fronte alla massa che si muove di fronte a lui, proiettando la propria visione del mondo con la consapevolezza di “far funzionare” delle forme, che saranno trasformate nuovamente già nell’atto del loro consumo.

Il consumatore di fine XX secolo vive di narrazioni

Oggi il consumatore compra in funzione della propria necessità e sulla base della propria personalità; l’atto del cosumo coincide con la produzione del proprio universo. Ciascuno costruisce la propria storia attraverso il proprio consumo. Quanto sia personalizzato o, viceversa, quanto sia conformato questo consumo è incessante fonte d’interesse anche per l’arte. Per fronteggiare le narrazioni delle personalità di ciascun consumatore, infatti, il mercato risponde con le grandi narrazioni, che vengono costruite per far fluire i consumi nel modo più prevedibile possibile.

Un esempio fra tutti è Hollywood e il transmedia storytelling[3]. Contro le grandi narrazioni che vedono “nella divisione del lavoro lo scenario dominante dell’occupazione; nella coppia sposata lo scenario sessuale dominante; nel turimo e nella televisione lo scenario privilegiato del tempo libero”[4], la performance in particolare ha sempre lottato, facendosi portavoce di contro-narrazioni, le cui sceneggiature aggrediscono le convenzioni a favore delle diversità.

La nostra quotidianità non è una realtà, ma una delle realtà possibili. La performance è il mezzo attraverso il quale molti artisti hanno deciso di articolare le differenze del mondo.

Dall’opera aperta al semionauta

Dato che “non si denuncia nulla dall’esterno, bisogna prima abitare la forma che si vuole amare o criticare”, la performance ha incorporato. Se negli anni Sessanta l’opera d’arte era aperta[5], cosicché l’audience risponde all’impulso dell’artista-trasmettitore, verso il XXI secolo l’interazione e la partecipazione sciolgono i confini tradizionali tra trasmissione-ricezione, composizione-interpretazione. Ciascuno è un semionauta, che consuma in funzione della produzione della propria storia, in risposta alla propria personalità, attraverso la personale strategia di consumo che sviluppa, tentando costantemente di proiettare la propria visione del mondo.

L’attitudine della performance spinge chi se ne imbatte ad abitare l’esperienza nell’hic et nunc, prendendo consapevolezza di essere parte attiva anche nel proprio consumo. Vuoi leggere di più su questo argomento? Leggi il mio libro Danza e Alchimia.

 


Note:

[1] Bourriaud N., Postproduction. Come l’arte riprogramma il mondo, Postmedia Books, 2004.

[2] Bourriaud N., ibid.

[3] Fina D., Lo Slancio, Lulu, 2015.

[4] Bourriaud N., ibid.

[5] Eco U., Lector in fabula, Bompiani, 1979.

[6] Cfr. Dominique Gonzalez-Foester, Pierre Huyghe, Philippe Parreno, catalogo Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris, 1998.

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Author:

Damiano Fina

Performer, philosopher and lecturer, Damiano Fina promotes the exercise of contemplation to explore the eternal through philosophical thought and the art of dance.

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