L’evoluzione del concetto di villa da Andrea Palladio a oggi

L’evoluzione del concetto di villa da Andrea Palladio a oggi

L’evoluzione del concetto di villa da Andrea Palladio a oggi 1400 1094 Damiano Fina

L’architettura veneta del XVI secolo ha cristallizzato i propri valori nel progetto della villa palladiana. Ha dato forma non solo ad edifici costruiti per necessità pratiche, come il controllo delle tenute agricole, ma anche ai valori, alle idee e ai sentimenti che li hanno generati, costituendo il cosiddetto paesaggio palladiano.

Il paesaggio palladiano del XVI secolo

Il termine stesso paesaggio si è formato in Europa proprio al partire dal XVI secolo, trovando nel territorio veneziano una chiara manifestazione, che spazia dalla riflessione-raffigurante dell’ottica della proprietà terriera, al caratteristico gusto pittorico e cartografico. Una sensibilità che, condivisa con Francia e Inghilterra, fino all’America rivoluzionaria, porterà il rapporto palladiano tra architettura-paesaggio-giardino a topos linguistico e culturale.

La villa di Andrea Palladio, secondo l’Ackerman, è una tipologia architettonica che non può essere considerata a prescindere dalla città, controbilanciandone tradizionalmente funzioni e valori. Sforzandosi di essere attuale, l’architettura palladiana continua a far dialogare uomo-arti e uomo-paesaggio. Una dialettica in cui si inserisce il dialogo fra artificiale e naturale paradossalmente evidente nell’imitazione delle forme della natura da parte dell’ingegno umano. Così accade ad esempio nelle meravigliose (poiché destano meraviglia) grotte dei giardini architettonici all’italiana.

Nel progetto della villa, l’architetto abbraccia tutte le arti e le scienze, allacciandosi alla visione di Platone nel Timeo. Come un alchimista, ordina gli elementi terra e acqua, li plasma e poi li consolida nell’aria, attraverso la sua opera creatrice. Come il Creatore, l’architetto afferra la realtà con approccio olistico. Leggi più nel mio articolo sull’architettura delle ville venete e l’alchimia.

Dopo il 1530 la nobiltà capitalistica veneziana, che nel corso del Quattrocento aveva accumulato molte ricchezze dai commerci con l’Oriente, cominciò a proteggere il proprio capitale da un lato investendo nell’industria di stoffe pregiate e oggetti di lusso, dall’altro nell’acquisto di vastissime proprietà agricole. Agricoltura le cui possibilità economiche divenivano sempre più allettanti, risposta necessaria alla crescita della popolazione da sfamare, che avrebbe altrimenti costretto l’importazione di generi alimentari di base come il grano dall’esterno.

I grandi proprietari terrieri si trasferirono pertanto nelle loro residenze rurali, ma gli edifici di cui necessitavano erano diversi rispetto ai castelli di campagna medievali già presenti. La soluzione, esteticamente felice e, contemporaneamente, economica, venne incarnata dall’architettura di Andrea Palladio.

L’esilio campestre nella villa palladiana

Baricentro dei possedimenti agricoli circostanti, in continuità visuale con il paesaggio, la villa viene suddivisa secondo una tipica gerarchia di ambienti nell’agglomerato, nel quale gli organismi abitabili hanno immediato accesso al controllo degli annessi funzionali. Nonostante le soluzioni uniche e originali, quasi tutte le fabbriche palladiane hanno in comune il frontone classicheggiante e lo studio estetico concentrato sui concetti di grandezza e magnificenza.

Mentre la romana Villa d’Este a Tivoli non era circondata da una vera campagna, quanto piuttosto da una natura confinata fra muri e recinzioni, caratterizzata dalla sapiente disposizione del giardino verde, elegante artefatto dell’ingegno umano; una villa lontana dalla città come quella a Maser, principale dimora dei propri padroni, era completamente inserita nella campagna e funzionava come una fattoria. I proprietari Daniele e Marcantonio Barbaro vi abitavano non solo per ristorarsi dallo stress cittadino, quanto soprattutto per assicurarsi ottimi raccolti. Un proto-ragionamento sul principio di economicità che prevedeva, oltre alle condizioni di equilibrio economico-patrimoniale, vantaggiose coordinazioni di efficacia ed efficienza. Così si inserisce nell’arioso progetto l’ingegno di Paolo Veronese con i celebri soggetti volti alla sublimazione della presenza nobiliare in campagna. Unione serrata fra mondo rurale ed aristocratico, che diviene costante della civiltà delle ville.

I progetti palladiani si spingono fino ad ambire a dimensioni imperiali, come nel caso di Villa Trissino a Meledo che, eccezionalmente collocata su un’altura collinare come la celebre Rotonda, avrebbe dovuto fondere belvedere e fattoria, ma venne realizzata solo in parte. Un progetto incompiuto senza destare meraviglia, come nel caso di Villa Thiene a Quinto. Una dimensione fastosa, anche se dalla concezione sufficientemente pratica per permettere la costruzione a committenti dalle risorse abbastanza limitate.

La villa: dall’epoca romana a Le Corbusier

In epoca romana la villa repubblicana, modesta, riporta il proprietario, grazie al lavoro manuale, ad una catarsi dell’animo rispetto ai negotia della città. In età imperiale si trasforma in una vera e propria città provvista di tutti i comfort ed attrazioni, ma caratterizzata dall’esclusività. La bellezza della natura ordinata dall’uomo suscita piacere in quanto forma artistica, una consapevolezza ben descritta dalle parole di Plinio, nelle sue Epistole.

Con la stessa sensibilità scriverà anche Andrea Palladio a proposito della celebre Villa Rotonda, paragonandone il sito a un teatro. E così anche Le Corbusier, quando tentò di introdurre i committenti di Villa Savoye, nella periferia di Parigi, ai piaceri della natura, proteggendoli dal suo disordine attraverso le controllate vedute delle finestre. Una natura che nel Novecento è però percepita dall’architetto francese come accessorio all’architettura.

In età medievale la campagna diventa luogo pericoloso da cui è necessario difendersi con muri e fortificazioni. La villa inizia lentamente a rinascere, ancora legata alla tradizione medievale, nei disegni di Michelozzo degli anni quaranta del Quattrocento per la famiglia fiorentina dei Medici a Cafaggiolo, Trebbio e Careggi, fino all’esempio di Poggio a Caiano. Come molte ville dell’antichità della penisola, l’architettura situa le proprie creazioni sui pendii delle colline non solo nei pressi di Firenze, ma anche a Roma. Un ritorno alla villa dove protagonista per lo sguardo è sicuramente il giardino con aiuole, fontane e boschi artificiali. Luoghi in cui la natura naturans entra in contrasto con la natura naturata, fino a corredarsi di fantasticherie oniriche, come nel caso di Pratolino.

In Veneto, fin dal Quattrocento, le tenute rurali sono quasi indistinguibili dagli altri edifici, secondo i precisi canoni di Catone e Varrone. Dopo il 1530 la committenza inizia a chiedere decorazioni più raffinate e spazi più complessi e ideologicamente stratificati. Da qui la storia della villa non si ferma, anzi. In Francia il castello medievale diventa una reggia e, nel corso del Seicento, fiorisce assieme al nuovo giardino barocco di André Le Nôtre. Successivamente in Inghilterra le residenze di campagna esportano il gusto palladiano, fondendo l’architettura principale e quella “secondaria”, composta da tempietti, statue, iscrizioni di gusto classicheggiante, con il giardino pittoresco e quello paesaggistico di Capability Brown.

Nel Novecento la villa viene costruita secondo le tecniche costruttive della produzione di massa da Le Corbusier, distanziandosi dal modello di seconda residenza volta all’otium. La villa rappresenta comunque, ad oggi, un bene di lusso accessibile a persone privilegiate. La tipologia costruttiva è riuscita a mantenere una fondamentale natura non esclusivamente funzionale, interpretando costantemente il dialogo culturale fra città e campagna, tra artificiale e naturale e facendone materia.

La villa tra contemplazione spirituale e attività economica

Luogo di ricerca di un’autarchia emotiva e allo stesso tempo di un’autarchia materiale, la villa è, allo stesso tempo, podere, punto focale dell’agricoltura e dell’economia. La stessa letteratura non trascura questi aspetti da Piero de’ Crescenzi, a Olivier de Serres, da Gabirele Alonso de Herrera, ad Agostino Gallo.

Andrea Palladio sintetizza la storica dicotomia città-campagna nell’unitaria ed armonica casa di villa. Qui è consentito al «gentiluomo di molto splendore» di «vedere ed ornare le sue possessioni et con industria et arte dell’agricoltura accrescer[ne] le facultà […] ma pur anco di dar sanità e robustezza al corpo e molto ristauro e consolatione all’animo stanco dalle agitazioni della città, così da poder quietamente attendere agli studi delle lettere et alla contemplatione».

Palladio è nominato ad oggi l’architetto delle ville, simbolo di cambiamento della campagna, che si è successivamente legato alla country house inglese. Un modello di vita che unisce reddito e cultura accessibile anche al nuovo strato borghese rappresentato dal gentiluomo palladiano. I tre elementi: edifici, giardini e paesaggio s’integrano in un tutt’uno.

Lo studio su questo materiale ha individuato lo sviluppo dell’investimento sul terreno verificatosi in particolare dopo il 1530. In questo solco di domanda s’inserisce l’offerta di Andrea Palladio, agendo da progettista e intellettuale, fra tradizione e rinnovo formale e strutturale. In particolare, lo sviluppo della civiltà della villa si concentra nelle zone pianeggianti del territorio, dove la campagna aperta lascia pieno spazio all’agricoltura.

In definitiva, il cosiddetto paesaggio palladiano assume in sé le forme naturali – panorama- e quelle artificiali -architetture, colture e giardini- in una fisicità che incarna bellezza. Davanti a questa l’essere umano specchia la propria coscienza con quella del creatore. Così l’eterna dicotomia umanità-natura trova sintesi visiva armonica.

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Author:

Damiano Fina

Performer, philosopher and lecturer, Damiano Fina promotes the exercise of contemplation to explore the eternal through philosophical thought and the art of dance.

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