Danza Butoh: significato e origini della danza alchemica di Tatsumi Hijikata e Kazuo Ohno

Danza Butoh: significato e origini della danza alchemica di Tatsumi Hijikata e Kazuo Ohno

Danza Butoh: significato e origini della danza alchemica di Tatsumi Hijikata e Kazuo Ohno 800 800 Damiano Fina

La danza butoh è un’arte scioccante e provocatoria, che vive tra gli interstizi culturali. Nel suo uso della musica e dei costumi, la danza butoh scombussola le tradizionali distinzioni di genere e le differenze tra est e ovest del mondo. La danza butoh è la danza proibita “Butoh is forbidden dance”, che nasce per essere sovversiva, catartica e liberatoria. Quando ho incontrato per la prima voltala danza butoh grazie al mio maestro Atsushi Takenouchi, nel 2014, mi sono sentito subito a casa. Da quel momento non ho più smesso di danzare.

Le origini della danza butoh in Giappone

Nata con la performance Kinjiki (Forbidden Colors) di Tatsumi Hijikata e Yoshito Ohno nel 1959, oggi la danza butoh è diventata un fenomeno culturale internazionale. In giapponese il termine “butō” significa letteralmente “passo di danza”. Yuko Haniya descrisse la danza di Tastumi Hijikata, fondatore assieme a Kazuo Ohno di questa estetica, Ankoku Butoh “danza delle tenebre”[1]. Ma la danza butoh si riconosce propriamente nella definizione di Forbidden Dance, che deriva dall’opera del rivoluzionario Yukio Mishima (pseudonimo di Kimitake Hiraoka) e ha dato il nome alla prima performance di Tatsumi Hijikata.

Mantenendo un’estetica condivisa, il butoh è molto sfaccettato; a seconda del performer, può essere selvaggio, spirituale, scabro, mistico, violento, sensuale, decadente, ipnotico, perturbante o catartico. Tipicamente, una performance di danza butoh abbraccia molti di questi aspetti e porta in scena la costante trasformazione dell’esistenza. Per questo la danza butoh viene definita anche come una danza alchemica e rituale.

Butoh significa letteralmente “danza pestata con i piedi”, indicando il passo di danza battuto a terra tipico delle danze propiziatorie per i raccolti e della danza mitologica di Ame no Uzume. Nelle intenzioni del fondatore di questa danza di origine giapponese ankoku butō era la danza dell’oscurità del cuore umano, ovvero una danza destinata a scuotere i moralismi per provocare una rivoluzione del corpo. Al centro della danza butoh c’è il nikutai, il corpo inteso come ammasso di carne, il luogo oscuro dove emergono i desideri e dove emerge la danza che esplora l’inesplorato. Il corpo dialoga con gli oggetti che ci sono anche con le cose che non ci sono, da qui il dialogo della danza anche con i mondi dell’aldilà.

Tatsumi Hijikata and Kazuo Ohno

Tatsumi Hijikata and Kazuo Ohno

Le influenze di questa danza sono di origine europea e ineriscono all’Ausdruckstanz tedesco, importato in Giappone dai fondatori della danza moderna nel paese del sol levante Ishii Baku e Eguchi Takaya. Parallelamente a queste influenze, è importante citare le principali correnti artistiche giapponesi degli anni Cinquanta: il collettivo Gutai, lo High Red Center, il gruppo Mono Ha e Yoko Ono.

La prima performance di danza butoh viene considerata Kinjiki (Colori proibiti), ispirata dal romanzo di Yukio Mishima e portata sul palco con il giovane Yoshito Ohno nel 1959. La performance suscitò scandalo per il contenuto irriverente e grottesco della coreografia, che prevedeva anche la presenza di una gallina come sacrificio rituale (la gallina non venne uccisa).

È grazie all’azione critica di Nario Goda che la danza butoh di Tatsumi Hijikata si afferma come una rivoluzione della danza, con una tendenza a colpire l’audience con performance d’impatto sui pregiudizi del moralismo imperante. Il manifesto artistico di questa intenzione è senz’altro la performance di Tatsumi Hijikata Nikutai no hanran del 1969.

Significato della danza butoh

Tatsumi Hijikata and Kazuo Ohno butoh dance

Tatsumi Hijikata and Kazuo Ohno butoh dance

Secondo Yoshito Ohno, Tatsumi Hijikata è la struttura del butō e Kazuo Ohno ne è il cuore. Gli stili dei due fondatori di questa danza sembrano differire, tanto che oggi è convenzionale attribuire la predominanza dell’interesse sulla forma al lavoro di Tatsumi Hijikata e l’interesse sullo spirito al lavoro di Kazuo Ohno. Tuttavia, credo che possano essere ritenuti complementari, piuttosto che differenti.

È interessante notare a tal proposito che Horonobu Oikawa, fondatore dell’Artaudkan, considera la pelle il centro della ricerca di Kazuo Ohno e il nesso scheletro-muscoli per Tatsumi Hijikata. La collaborazione tra i due danzatori che risale al 1960 quando Tatsumi Hijikata coreografa per Kazuo Ohno la performane Divine sho.

La danza butoh nasce negli anni Cinquanta all’interno di uno scenario dove Tatsumi Hijikata pensava alla rivoluzione del corpo, ovvero a mettere in scena un atteggiamento profondamente anticonformista rispetto al sistema industriale giapponese e al nuova organizzazione sociale devota alla costruzione di una superpotenza mondiale.

Il ritorno alle origini della tradizione giapponese per Tatsumi Hijikata e Kazuo Ohno significa il ripensamento dei concetti di bello e brutto, la distruzione delle dicotomie, il riallacciamento di un legame profondo con la natura e con le ritualità ancestrali, tra cui il culto dei morti.

Corpo della danza butoh

Tatsumi Hijikata and Yoshito Ohno, Kinjiki, 1959

Tatsumi Hijikata and Yoshito Ohno, Kinjiki, 1959

Il corpo della danza butoh è un ammasso di cane: nikutai. Per Tatsumi Hijikata il corpo è un cadavere che si tiene disperatamente in piedi. Si tratta di un corpo mendicante, che batte i piedi per terra e studia i movimenti spontanei della primissima infanzia, dei movimenti disarticolati, invasati, liberati dalle stratificazioni sociali.

I tremiti e le convulsioni, come i movimenti controllati e millesimali fanno parte dell’estetica della danza butoh, che nascono dalla visione del corpo di Tatsumi Hijikata come campo di rivoluzione sociale. Il corpo è portatore del perturbante, tramite con il mondo degli spiriti, evocatore del legame originario che connette l’essere umano con ciò che va oltre alla sua esperienza sensibile e quotidiana.

Oggi il corpo della danza butoh è soprattutto tinto di bianco e conduce alla cancellazione del sé, verso il ripristino del corpo fetale, in bilico tra i mondi. Ma alle origini della danza del fondatore Tatsumi Hijikata il corpo era scurito con il colore nero, si fondeva con le ombre della scena poco illuminata, evocava i suoni del corpo mentre si dibatteva nella penombra.

Androginia nella danza butoh

La danza butoh è una danza originariamente androgina, dove sul palco maschile e femminile non si contrappongono ma fluiscono tra le sfumature possibili dell’essere. Interrogato da un giornalista sul perché sul palco si “travestisse” da donna Kazuo Ohno rispose:

“Le mie intenzioni nel vestirmi come una donna sul palco non sono di diventare l’imitatore di una donna, o di trasformarmi in una donna. Piuttosto, voglio rintracciare la mia vita all’indietro, sino alle sue più remote origini. Più di ogni altra cosa, io desidero ritornare da dove sono venuto”.

Influenze europee nella danza butoh

Le radici della danza butoh affondano nell’antica tradizione giapponese, quando la cultura era ancora matrilineare e legata fortemente al culto dei kami. Un’epoca durante la quale la padronanza delle tecniche dell’estasi conferiva ad alcune donne potere spirituale e allo stesso tempo politico[2]. La passione per il travestimento, per l’espressività facciale e la parodia, così come per le linee definite accomuna la danza butoh con la pittura Ukiyo-e. Lo spazio sospeso, i passi corti e il tempo che si dilata accomunano la danza butoh al teatro No e al teatro Kabuki. Ma i legami che il butoh intesse con altre forme artistiche non si limitano alla tradizione giapponese. Le radici della danza butoh, infatti, affondano anche nell’espressionismo tedesco, rompendo i confini tra est e ovest.

Lo sviluppo della danza moderna in Giappone fu influenzata dall’attività di Takaya Eguchi, che studiò con Mary Wigman in Germania, e da Baku Ishii. Entrambi furono maestri di Kazuo Ohno, mentre Tatsumi Hijikata studiò dagli allievi di Takaya Eguchi: Katsuko Masumura e Mitsuko Ando. I due fondatori della danza butoh si incontrarono grazie all’attività di Mitsuko Ando tra il 1952 e il 1954[3].

Kazuo Ohno, l’anima spirituale della danza butoh

Durante i suoi workshop, Kazuo Ohno raccontava di aver appreso la danza butoh mentre era nel grembo di sua madre. Per lui tutte le arti provengono dalle nostre primissime esperienze con l’esistenza. Ai suoi allievi spiegava che un solo spermatozoo sopravvive, quando si unisce con l’ovulo per generare una vita, mentre moltissimi altri spermatozoi muoiono. Allo stesso modo, nel mondo la morte di molte persone contribuisce alla sopravvivenza di altre. In questo senso, per Kazuo Ohno tutte le vite sono fragili e devono essere protette; non solamente la propria, ma anche quella degli altri.

Nel suo pensiero, Kazuo Ohno afferma che abbiamo tutti una natura erotica, che ci riconduce alle origini della nostra vita. Il nostro legame con nostra madre conserva in sé l’unione erotica tra nostro padre e nostra madre. Questo legame è la materia per la danza. L’immagine del feto viene riconosciuta come la dimensione della piena libertà, il cui movimento diventa la fonte di massima ispirazione per il danzatore butoh.

Per Kazuo Ohno la danza  butoh deve essere innocenza ed ebbrezza[4].

Lo scopo dei workshop è ricondurre al movimento spontaneo e istintivo. Un movimento pregno di emozioni, che si fa espressione del complesso rapporto tra l’organismo, il mondo, le memorie e le presenze in gioco. Approfondisci la critica all’arte relazionale di Nicolas Bourriaud.

L’estetica wabi-sabi nel butoh

Partendo dal pensiero zen, l’estetica della danza butoh si basa sul concetto di wabi-sabi. Wabi riferisce originariamente al momento in cui il bocciolo della rosa si sta formando e il suo colore è appena percettivile, mentre sabi riferisce al momento in cui la rosa sta appassendo e i suoi petali si stanno seccando. All’interno del concetto wabi-sabi il bello e il brutto scompaiono nel loro dualismo. Il bello e il brutto provengono dalla stessa fonte e sono parti integranti della stessa cosa, così come il bocciolo e i petali appassiti sono sempre la stessa rosa. Per il butoh ogni cosa giunge dall’uno e all’uno tutto ritorna. Ciò che chiamiamo “il sé” sta all’interno di questi mutamenti, poiché è in continua trasformazione. La danza butoh porta questo in scena attraverso un’estetica che non divide movimenti belli da movimenti brutti, movimenti consoni da movimenti non consoni, basta che siano autentici. Leggi l’articolo su danza e ikebana.

Guarda il video “Diventare paesaggio: la danza butoh tra oriente e occidente”.

Danzare l’autenticità del movimento: butoh

Quando si danza non si ascolta la musica con le orecchie, ma con tutto il corpo. Allo stesso modo, si ascoltano le emozioni, le memorie e le presenze dello spazio circostante, dell’audience e della dimensione che si spalanca oltre a questa dimensione. Diventare come i fiori e guardare come guardano gli alberi sono alcuni esercizi utili poiché dalle loro radici ai loro petali e rami sono espressivi. Kazuo Ohno diceva di rendere la propria danza come la vita, studiando semplicemente come cresce un albero. Dai piedi ben piantati al busto saldo, dalle braccia robuste alla finezza delle dita. Per il danzatore l’audience non ha bisogno di vedere che ti stai muovendo, ma deve sentire che stai crescendo, proprio come accade con l’albero. Qui si trova l’autenticità del movimento.

Il makeup e il costume da scena sono fondamentali per il performer. Lungi dall’essere considerate delle maschere, sono le forme espressive che permettono di entrare in contatto con ciò che s’intende evocare. Il trucco diventa un rituale, parte integrante della performance stessa, attraverso il quale il performer riconduce la sua forma all’origine del suo sentire. Kazuo Ohno affermava: “Le mie intenzioni nel vestirmi come una donna sul palco non sono di diventare l’imitatore di una donna, o di trasformarmi in una donna. Piuttosto, voglio rintracciare la mia vita all’indietro sino alle sue più remote origini. Più di ogni altra cosa, io desidero ritornare da dove sono venuto”[5].

La danza tra Giappone e Mar Mediterraneo

In quanto danzatore italiano e ricercatore sulla filosofia della danza trovo che, da una parte, sia necessario inserirsi in questo dibattito portando rispetto verso il patrimonio culturale giapponese, che questa danza continua a mantenere autentico, d’altra parte credo sia altrettanto importante evidenziare le origini interculturali di questa forma d’espressione, in un mondo che nel 1959 era già globalizzato.

Studiando la danza butoh e inglobandola nella mia ricerca artistica, è stato del tutto naturale giungere alla creazione di quella che ho denominato danza alchemica. Agli albori dell’essere umano, dopo la caccia, ci riunivamo attorno al fuoco per danzare la nostra gratitudine all’universo. Erano tempi di profonda connessione con il nostro corpo e con le stelle. Le memorie delle nostre origini e i rituali di devozione verso l’oscuro mondo della morte per osannare la vita e il grande ciclo dell’esistenza sono le vivide basi da cui nascono le arti e le mistiche tipiche della nostra specie, in tutto il mondo.

A queste radici dell’essere umano guarda la danza butoh, così come la mistica alchemica. L’apollineo e il dionisiaco toccano Kazuo Ohno e Tatsumi Hijikata come se non ci fossero barriere linguistiche tra il Mar Mediterraneo e il Giappone. A queste stesse radici guarda anche il metodo FÜYA e la mia danza alchemica con un solo obiettivo: tornare a pregare per mezzo delle arti.


[1] The interest of Tastumi Hijikata goes to “the darkness that our modern eye has lost, where the gap between words and things disappear. I shake hands with the dead” (S. Fraleigh, Dancing into darkness, University of Pittsburgh Press).

[2] Verso il VII secolo, con la diffusione del confucianesimo, le pratiche di possessione vennero sempre più emarginate in favore del decoro e di un nuovo rigore di stampo patriarcale. Cfr. Raveri M., Il pensiero giapponese classico, Einaudi, 2014.

[3] Cfr. S. Fraleigh, Dancing into darkness, Idibem.

[4] “Dance should be innocence and intoxication” S. Fraleigh, Dancing into darkness, Idibem.

[5] Ohno K. And Y., Kazuo Ohno’s World, Wesleyan University Press, 2004.

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Author:

Damiano Fina

Performer, philosopher and lecturer, Damiano Fina promotes the exercise of contemplation to explore the eternal through philosophical thought and the art of dance.

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