Metodo FÜYA: il metodo alchemico della danza di Damiano Fina

Metodo FÜYA: il metodo alchemico della danza di Damiano Fina

Metodo FÜYA: il metodo alchemico della danza di Damiano Fina 1200 800 Damiano Fina

FÜYA è un metodo cinestesico, filosofico e poetico che ho ideato per ricondurre la creatura umana alla consapevolezza delle proprie origini, per ristabilirne l’equilibrio con il mondo. Il metodo FÜYA si basa sulla teoria dei quattro corpi e degli equilibri del corpo: un approccio pedagogico alla danza, all’alchimia e alla loro origine spirituale fin dal Pleistocene, che educa l’organismo umano all’importanza della trasformazione e del sacro tramite lo sviluppo del corpo alchemico.

Le origini in comune di danza e alchimia

C’era una volta la danza attorno al fuoco. Gli esseri umani, dopo la caccia, pregavano in questo modo l’universo. Era un rito necessario per quelle creature, che sentivano di dover in qualche modo scontare alla natura un debito, quello di essersi affrancate dalla condizione di prede. Uccidere attraverso caccia era ancora qualcosa di oscuro, che certamente comportava qualcosa che cessava di essere visibile. Ecco che nasceva il regno dell’invisibile, un luogo pullulante di presenze con cui si dialogava attraverso il rituale. Diventando predatore, l’essere umano si costruiva fauci e artigli con lance e frecce.

Incline alla mimesis (abilità imitativa) del sé e dell’altro da sé, l’essere umano aveva modificato la sua natura in qualcosa di dinamico, in costante trasformazione. L’essere umano era predatore e preda. Ma il fare come se fosse l’altro -umano o animale- gli aveva concesso anche una compartecipazione con ciò che uccideva. Da qui sarebbe nata l’esigenza del rituale. Da qui sarebbe nata la danza.

Su questa riflessione ho scritto un libro, si chiama La danza di Eros e Thanatos e lo puoi ordinare comodamente su Amazon. Questo libro racconta l’importanza della mimesis durante l’evoluzione del genere umano. Da qui nasce anche la funzione educativa e pedagogica delle arti. Questo libro promuovere l’arte come forma educativa in grado salvaguardare la libertà d’espressione di ciascun essere umano. Per questo parlo di una pedagogia queer.

Lo scopo di FÜYA è attivare la capacità dell’organismo umano di connettersi con il rituale del cacciatore, entrando nella caverna da cui è uscito molto tempo fa.

FÜYA: una ragione per danzare oggi

FÜYA: la tecnica dei quattro corpi

I giorni del cacciatore attorno al fuoco sono ancora nelle nostre cellule. Quando il cielo era colmo di stelle, l’organismo umano era fatto di storie e ritmi attorno al fuoco. Quei giorni sono ancora nelle nostre memorie. Il metodo FÜYA che ho creato ricerca in questo modo il corpo alchemico. Lo studio del corpo mi ha portato a creare una metodologia che ne studiasse le potenzialità. Così ho suddiviso il corpo alchemico in quattro corpi, che utilizzo come guida per il mio metodo pedagogico:

  • il corpo fisico concentra l’organismo, sangue e ossa, a focalizzarsi sulla propria carne;
  • il corpo emotivo si concentra sul ventaglio di connessioni che muovono e commuovono l’organismo alla partecipazione di ciò che sta fuori tramite i propri umori interni;
  • il corpo spirituale si sforza di spogliarsi dalla veste umana per divenire altro da sé (un albero, una montagna, una goccia d’acqua, un computer, una lucciola);
  • il corpo remoto riconosce l’importanza di ciò che non esiste più, di ciò che è lontano, dall’altra parte del mondo oppure di ciò che non è mai esistito.

Il libero gioco di questi quattro corpi nella danza è rappresentato dal corpo alchemico, in grado di unire le distinzioni, le armonie e le disarmonie e di trasformare il tutto in qualcosa di altro e di più grande della somma delle proprie parti. Queste sono le fondamenta del metodo FÜYA, un metodo basato sugli equilibri dell’organismo umano e sulla teoria dei 5 corpi. Un approccio pedagogico cinestesico che mira a insegnare la non-violenza tramite lo sviluppo di queste qualità del corpo dell’essere umano. Nel mio libro Danza e Alchimia, disponibile su Amazon, ho approfondito la trattazione di argomento.

La tecnica dei quattro corpi e degli equilibri del corpo è propedeutica a sviluppare la postura del corpo, l’origine e la qualità del movimento, l’ispirazione coreografica e la ragione stessa della propria danza. Il metodo FÜYA, quindi, è un approccio pedagogico fondato sulla maieutica e mira a far emergere la danza dall’organismo. Il suo obiettivo è stimolare la riflessione degli allievi tramite lo sviluppo di una memoria storica della performance e di una consapevolezza filosofica della danza.

La danza spalanca l’invisibile

Abbiamo una responsabilità verso quello che esiste, ma abbiamo una responsabilità anche verso quello che non esiste. Per questo ho scritto il libro Danza e Alchimia. Dobbiamo tornare al sacro. Dopo la performance FÜYA Requiem ho raccontato al pubblico la mia ragione per danzare. Guarda il video:

Tutto è ritmo. Veglia e riposo, fame e sazietà, giovinezza e senilità. FÜYA è parte di questo ritmo. È tempo di ardere e di illuminarci, perché siamo oltre la creatura che vive sotto la nostra pelle. Tutta la ricerca di FÜYA è fondata sul corpo alchemico e sulla sua presenza. Meglio, sulle sue presenze. Viviamo nello spazio e lo distorciamo con la nostra presenza. Lo spazio ha effetto su di noi, retroagisce contro di noi e per noi. Non ci sono limiti, confini o spazi vuoti tra le cose: tutto è interrelato in un groviglio di legami. La presenza riguarda l’unità delle esperienze visibili e invisibili.

Ciò che non esiste è importante tanto quanto è importante ciò che esiste.

Abbiamo una responsabilità verso quello che ancora non esiste, verso quello che è attorno a noi, verso quello che è distante o dentro di noi. E abbiamo una responsabilità anche verso quello che non si invererà mai. Siamo parte delle performance che pongono le condizioni per la possibilità e l’impossibilità della materializzazione del mondo. Siamo parte delle performance che inverano ciò che conta e ciò che è escluso dalla materializzazione dell’universo.

In questo ritmo non abbiamo alcun posto privilegiato: siamo parte di un universo non meramente umano. Anzi, in larga parte disumano. Anche se viene costantemente umanizzato dal sentire della creatura umana. La presenza è questa consapevolezza. Siamo importanti e irrilevanti allo stesso tempo. Siamo assolutamente trascurabili e contemporaneamente essenziali. Questo è il ritmo della trasformazione. Questo è FÜYA.

Danza e Pedagogia: la danza è nel nostro DNA

Qual è il nesso tra danza e pedagogia? La danza è nel nostro DNA sin dalla nostra nascita, fa parte di quel corredo genetico che possiamo definire come un istinto dell’arte, per dirla con Denis Dutton. Appena entriamo in relazione con il mondo, gesticoliamo e mormoriamo, piangiamo e sorridiamo, borbottiamo e sospiriamo in modalità spontanee che articolano un meraviglioso linguaggio naturale. Con gli occhi dei danzatori butoh Tatsumi Hijikata e Kazuo Ohno il movimento del bambino e, ancor prima, i movimenti del feto nel grembo materno sono forieri di danza e di ispirazione.

Sin da quando siamo bambini, non agiamo mai in modo indipendente dal nostro contesto, anzi, i nostri atti e le nostre scelte si accordano con quant’altro esiste attorno a noi. Questa capacità di esprimere immediatamente il nostro disagio o la nostra felicità e agire di conseguenza, venendo a patti con l’ambiente è, per Brian Boyd, la prova del nostro essere creatori compulsivi di strategie per la generazione di attenzione.

Tra i vari strumenti che utilizziamo naturalmente per guadagnare l’attenzione degli altri c’è la creazione di storie, che a un certo punto diventano tanto strampalate quanto generano il risultato sperato dal cucciolo d’uomo. La nostra relazione con le storie e con le altre forme d’arte diventa presto un modo per guadagnare esperienza. Attraverso le arti siamo in grado di “fare come se” fossimo altro da noi, vivendo esperienze che normalmente non potremmo mai fare e sperimentando vite che non potrebbero mai coincidere con la nostra.

Ma l’arte non è solo fiction, è anche lavoro, cioè un’attività che riguarda la creazione di qualcosa ex novo o la riconfigurazione di cose preesistenti utilizzando ciò che il mondo offre per ricomporre un senso, una forma, una struttura, una massa, una luce o un rapporto nuovi. Questa novità potrà non essere una assoluta, ma sarà il frutto di un filtro personale, basata sulle nostre esperienze. Alle volte diventa non-arte, è non-lavoro, ovvero è un’attività che si propone per la sua inutilità, effimera, anche contraria alla vita e che riguarda la distruzione di schemi preconfezionati, di convenzioni, di regole e di status quo.

Sulla pedagogia della danza

Imparare a danzare, per il bambino, significa imparare ad avere a che fare con il ritmo delle cose. Attraverso l’educazione alla danza, infatti, scopriamo le infinite possibilità di convivenza che ci sono date con gli eventi che accadono attorno a noi.

Se dal mondo arriva rabbia, la danza può rispondere trasformandosi in vitalità espressiva. Se dal mondo arriva tristezza, la danza può rispondere con la limpidezza del vento per portare pace, nuova serenità e un po’ di gioco. E la danza può fare anche il contrario di quanto appena descritto, trasformandosi in non-danza. Può spingersi oltre alle definizioni e diventare altro da sé.

Ma quando è autentica, ovvero quando fa tornare la creatura umana in connessione con il fuoco delle origini, la danza è in armonia con il ritmo delle sfere celesti.

Questo non significa che è priva di tormento, anzi, si carica della colpa originaria della creatura umana. Ha bisogno di uno spargimento di sangue, deve ritornare a esprimere devozione attraverso il rituale. Ma non è più antropocentrica, non è più autoreferenziale, non fa più sentire l’essere umano senza un posto e senza un senso nell’universo. Ripristina il cordone ombelicale che si era rotto con la civilizzazione e con l’addomesticazione dell’umanità. Lì l’homo sapiens ritrova il suo equilibrio nell’universo.

Mimesis e narrazione all’alba dell’evoluzione umana

Per Aristotele, nella sua Poetica, Mimesis e narrazione sono alla base dell’evoluzione umana. Fin dall’infanzia l’umano imita il circostante, procurandosi in questo modo le prime conoscenze del mondo. In particolare, le storie della cultura orale erano in grado di veicolare ἡδονή “piacere” e allo stesso tempo μάθησις “apprendimento”.

Fin dagli albori della nostra specie, le arti ci consentono di esercitare le emozioni e l’empatia. Denis Dutton sottolinea come questi siano adattamenti evolutivi da cui sarebbe dipesa la nostra stessa sopravvivenza. In tutto questo, un ruolo centrale sarebbe stato occupato dalle narrazioni. Nella Poetica, Aristotele afferma:

“The main topic of tragedy will be the disruption of normal family and love relations: a son who kills his father, two brothers who fight to the death, a mother who murders her children to spite their father. For Aristotle this fascination with stresses and ruptures of families represents a permanent feature of human interest, not merely a local manifestation of Greek cultural concerns, and he would find clear validation today in the continuing story lines of drama, pulp fiction, and soap operas across the world.”

In generale, quindi, raccontare storie -o ascoltarle- sono attività piacevoli che aumentano le nostre possibilità di vivere esperienze. L’arte rappresenta tutti questi tentativi di comunicare e condividere con gli altri membri della specie umana i processi creativi di ciascun organismo, permettendone un avvicinamento empatico. In particolare, le narrazioni esemplificano la capacità del nostro organismo di vivere ruoli diversi dal proprio, quindi di cambiare pelle e immergersi in mondi inattesi.

Siamo in grado di immedesimarci nel candore di Biancaneve, ma anche nella gelosia della strega cattiva; di sorridere con il goffo Cucciolo, ma anche con il burbero Brontolo. Allo stesso modo, quando siamo piccoli possiamo giocare a fare il poliziotto, la cuoca, la mucca, il drago e persino la pietra o il robot. Grazie alla nostra innata capacità di imitare l’altro, grazie quindi alla Mimesis, siamo in grado di cambiare pelle e vivere molte altre vite, anche lontane dalla nostra.

Così, siamo in grado di vivere molte esperienze. Possiamo immaginare di respirare sott’acqua e fare come-se nuotassimo nelle profondità dell’oceano, oppure possiamo fantasticare di essere su una navicella spaziale e fare come-se fossimo senza forza di gravità. La capacità di diventare “altro-da-noi”, che nasce spontaneamente fin dall’infanzia costituisce un grande vantaggio evolutivo per la nostra specie, permettendoci di vivere esperienze oltre alla nostra mera esperienza fattuale.

Come ho argomentato nel libro Lo Slancio. Etica e Design delle Esperienze di Storytelling, questa capacità dischiude al nostro organismo la possibilità di vivere più vite e di entrare in contatto non solamente con il mondo, ma anche con i mondi possibili. La Mimesis, capacità umana naturalmente attiva sin dall’infanzia, è oggetto di continui studi e approfondimenti da parte del Mimesis Lab di Roma, che ha fondato il percorso di ricerca in Pedagogia dell’Espressione presso l’Università Roma3, sotto la direzione del prof. Gilberto Scaramuzzo e la collaborazione con interessantissimi professori e ricercatori nel campo della pedagogia, della teatroterapia, della musicoterapia, dell’arteterapia, della danzaterapia e della sporterapia. All’interno del percorso del master sto dando anche io il mio contributo alla ricerca, che si concretizzerà nel prossimo libro.

Il ruolo delle emozioni nell’esperienza della danza FÜYA

Il nostro organismo, sin dal primo vagito, vive in relazione con il proprio contesto. Dal momento in cui iniziamo a calciare nella pancia della mamma e piangiamo quando attiviamo la prima meccanica ventilatoria, dimostriamo un originario orientamento all’espressione della sensazione di piacere o dispiacere, attrazione o ripulso, accoglienza o minaccia che proviamo nel corso dell’esperienza che facciamo con il mondo.

Il nostro mondo interiore è in relazione con il mondo esteriore e viceversa. L’esistenza, quindi, si fonda su un principio di costante scambio tra il nostro organismo e il mondo. In tutto questo, le emozioni sono il timone che ci orienta nel mondo.

Facciamo un esempio: immaginiamo il dialogo a cena tra marito e moglie dopo una lunga giornata di lavoro. Non è difficile riconoscere il variare delle emozioni nella conversazione a seconda dell’argomento affrontato. Dal racconto della giornata trascorsa, al dibattito sulla cronaca in televisione; dalla contrattazione per le faccende domestiche, ai progetti per le vacanze estive. Le emozioni cambiano costantemente a seconda dell’intonazione della voce, dei gesti del corpo e degli umori man mano sollecitati, orchestrando la prosecuzione o l’interruzione del dialogo.

Le emozioni, secondo John Dewey, sono criteri di discrimine fra le energie esistenti, che coordinano e sviluppano le qualità estetiche di cui abbiamo costante esperienza. Le emozioni comportano, quindi, una presa di coscienza che rende consapevole la partecipazione dell’organismo con la vita e la natura circostanti. Poiché appartenente a una relazione, a un’esperienza, esse non sono qualcosa di soggettivo, bensì sono qualità del ritmo dell’interazione.

Secondo la prospettiva del filosofo americano, dunque, l’organismo emerge nell’esperienza quando vive una responsabilità su ciò che fa, in risposta anche a istanze sociali e non solo naturali. Le emozioni a loro volta sono soggette a trasformazioni nel corso dell’esperienza, determinandosi e determinando nuove esperienze. Parafrasando Art as Experience, il bisogno di ciascun organismo coincide con una mancanza nell’adattamento al mondo. Se il vuoto fra circostante ed essere vivente è troppo vasto, quest’ultimo muore. Ma la vita scaturisce da una momentanea mancanza di equilibrio, che mette in moto le energie di ambiente e organismo nel raggiungimento di una nuova euritmia. Si tratta proprio di un ritmo in cui l’emozione è veicolo di cambiamento, in quanto emersione improvvisa dall’esperienza. Quando questa emozione si lega a un’idea e all’azione su un materiale che diventa medium, allora si produce un’espressione e un’emozione propriamente estetica. Ciò che definiamo arte coincide con la trasformazione di queste energie in gioco in una nuova relazione emotiva. Uno slancio.

Il metodo FÜYA guarda con interesse a questo tipo di esperienza, in cui l’emozione non è un’emersione dalla routine quotidiana fine a se stessa, ma diventa lo stimolo per rompere quella routine e creare una novità nei nostri soliti abiti di comportamento.

FÜYA è un metodo basato sull’esperienza. Nella formulazione del vocabolario per la costruzione di questo metodo artistico sono ampiamente debitore del pensiero filosofico di John Dewey e, in particolare, dei suoi testi Art as Experience e Human Nature and Conduct. Al fine di condividere la mia ricerca sul web ho deciso di curare questo blog con una serie di approfondimenti sull’Integral Body Method e il pensiero sottinteso allo sviluppo del metodo in studio e in natura. In questo breve articolo cercherò di sintetizzare cosa significa “esperienza” per FÜYA.

Cos’è l’esperienza? Come si rapporta l’organismo umano con il circostante?

Queste sono alcune delle domande alle quali il filosofo americano John Dewey ha dedicato alcuni suoi scritti a cavallo fra il XIX e il XX secolo. Dal momento che “nessun organismo vive sotto la propria pelle”, ma i suoi organi sono fatti per connettersi con l’ambiente circostante, per John Dewey la nostra esperienza del mondo spande naturalmente in una moltitudine d’interazioni.

Alcune volte percepiamo le nostre esperienze come confortanti, altre volte come minacciose e ostili. Questo continuum esperienziale qualifica esteticamente il nostro vivere quotidiano e dona al nostro sentire una qualità che riusciamo immediatamente a percepire come “sana o malsana” per il nostro organismo. Dato che nell’esperienza è coinvolta la nostra capacità di sentire, per John Dewey l’esperienza è estetica.

L’esperienza viene definita “estetica” perché nell’etimologia greca del termine αἴσθησις significa “percezione, sensibilità”. L’esperienza coinvolge la nostra capacità di comunicare, condividere e partecipare, qualificando il rapporto fra il nostro organismo e il mondo. L’esperienza è un continuum perché non si arresta mai. Infatti, il nostro organismo non vive sotto la sua pelle, ma è fatto per essere costantemente in relazione con tutto ciò che sta all’interno e all’esterno del suo corpo. Abbracciando questa visione, l’ambiente in cui viviamo viene a costituirsi come un insieme creativo, qualitativamente pregno, di accadimenti, relazioni e storie, che s’incorporano anche nelle cose. Gli organismi umani sono parte di queste “cose”.

“La vita s’illumina nel momento in cui uno sbandamento transitorio consente il movimento verso un più fertile equilibrio fra le energie dell’organismo e quelle delle condizioni in cui esso vive”, si tratta di un ritmo combattuto di emozioni a volte nebulose, altre volte iridescenti.

L’esperienza che facciamo del mondo non è sempre uguale. Alcune volte il nostro rapporto con il mondo ha una qualità opaca e prosegue con una routine più o meno stabilita; altre volte, invece, l’esperienza si fa vivida e prende risalto rispetto al nostro continuum esperienziale.

In un accordo musicale, sui colori di una tela, tra le pagine di un libro, nella trama oltre una pellicola, nei gesti sul palcoscenico, davanti a un tramonto, fra le braccia dell’amante, tra le papille gustative e la forchetta, alla nascita di un bambino, una qualità estetica illumina la relazione tra organismo e mondo. Il Metodo FÜYA si basa sull’attivazione di questo tipo di esperienze.

Scopri il vlog FÜYA Sessions

Damiano Fina presenta il nuovo progetto con cui inaugura un video blog su danza, alchimia e pedagogia queer. “Forse un giorno smetteremo di chiamare ogni cosa con il nome giusto” Con questa citazione dal mio libro La danza di Eros e Thanatos per un pedagogia queer ho inaugurato un percorso lungo il quale non mancheranno approfondimenti sull’alchimia, sulla teoria queer, sulla filosofia, sulla danza e sulla performance. Materie che da anni studio e fondo nei miei progetti artistici. Iscriviti al mio canale YouTube per seguire questo progetto.

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Author:

Damiano Fina

Performer, philosopher and lecturer, Damiano Fina promotes the exercise of contemplation to explore the eternal through philosophical thought and the art of dance.

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